È esistito a Fermo un polo industriale strategico per il settore merceologico della calzatura.
Si tratta dell’antica conceria di Fermo localizzata in Via della Costituente, allora c.da Molini Girola.
Era il momento di cambiare, e si cambiò. Quel villaggio miserabile che era stato il PG70, nel 1956 diventa la conceria Sacomar (Santori concerie marchigiane, dal cognome dei quattro fratelli fondatori), uno dei “poli” conciari italiani più importanti, insieme con Santa Croce sull’Arno, Solofra in Campania e Arzignano in Veneto. Già dieci anni dopo la nascita della Sacomar, Evoluzione del lavoro, “rassegna di documentazione sul progresso e sviluppo del lavoro italiano”, scrive: “la produzione della conceria cammina accanto a quella straniera e dovrà sempre più imporsi in campo internazionale”. Come poi avverrà, almeno nei quarant’anni successivi.
Nel 2003 però l’Azienda deve chiudere. La concorrenza dei Paesi emergenti, primo fra tutti la Cina, nei quali il lavoro e la materia prima costano molto meno, è insostenibile. Centocinquanta persone restano senza lavoro e proprio i cinesi portano via tutto. “Con un milione di euro – dice Fiorenzo Fortuna, che alla Sacomar ha lavorato dall’età di 15 anni fino alla pensione – hanno comprato le macchine, le presse, le smerigliatrici e 60 buttali per la concia. Un affare. Basti pensare che un solo bottale, nuovo, costa 300 mila euro”.
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La conceria aveva un sistema complesso di vasche di raccolta nelle quali avvenivano i processi industriali per la concia delle pelli.
Rimangono ancora alcune strutture, tra le più evidenti oltre al particolare ingresso, è rimasto il serbatoio di accumulo per la risorsa idrica, fondamentale per sua piezometrica.



